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Elisa Salerno: eresia o nuova pentecoste?

La recensione di Sara Anna Ianniello su “Rassegna di teologia”

Riportiamo di seguito la recensione al libro di Michela Vaccari Elisa Salerno: eresia o nuova pentecoste? (Il pozzo di Giacobbe, 2019), scritta da Sara Anna Ianniello per la rivista “Rassegna di teologia” (scarica qui il pdf).

 

Scrittrice, giornalista, romanziera, mistica cattolica e femminista» (10). È così che nelle prime pagine del suo libro M. Vaccari descrive la cattolica ed anticonformista Elisa Salerno, donna vissuta agli inizi del Novecento, che in diverse occasioni ha dichiarato di «essere figlia affezionatissima della Chiesa, che è maestra e custode della verità» (48). Figlia di una Chiesa che non era certamente pronta ad accogliere le istanze di un pensiero sotto ogni punto di vista rivoluzionario; che la costringe all’allontanamento dai sacramenti e che per molto, forse troppo tempo, ha volutamente dimenticato il suo volto e la sua opera culturale a sostegno dell’intera comunità di fedeli. Si dovrà attendere l’anno 2000 perché un uomo di Chiesa, mons. Pietro Nonis, ricordandone la figura e l’opera, chiederà scusa «come vescovo a questa donna straordinaria, affascinante, fortissima, fragile in apparenza, ma in realtà diamantina» (86).
L’agile volume della Vaccari ha a mio parere un duplice merito: narrare la vita della protagonista sul palcoscenico della storia. La capacità di raccontare l’evoluzione del pensiero della Salerno, servendosi soprattutto dell’epistolario, in una stretta connessione con gli eventi politici e culturali che l’Italia visse tra l’emergere della questione romana e il Concilio Vaticano I, la rende protagonista di una storia ancora poco conosciuta o forse non ancora scritta. È la storia di quelle donne a cui la Salerno dà voce; storia di una donna della Chiesa che vuole sentirsene parte attiva. Non meno importante a mio avviso è l’appendice al testo, intitolata: Eresia o nuova pentecoste? Qui l’autrice crea idealmente una connessione tra passato e presente, facendo delle istanze della Salerno argomento di dialogo per la Chiesa di oggi.

Gli interrogativi e le perplessità nutrite dalla giovane Elisa e il ruolo marginale della donna nella società interrogano anche oggi, a distanza di circa cento anni, seppur in maniera differente. Non è un caso che nell’ultimo Sinodo dei Vescovi (2018) che ha visto la partecipazione di oltre mille giovani, la domanda sulla donna e sul suo ruolo di appartenenza alla comunità di credenti sia emersa con tutta la sua forza. L’attenzione rivolta dalla Chiesa al femminismo cattolico, tema affrontato con grande delicatezza dall’autrice, ha avuto come scopo l’integrazione delle donne nella realtà sociale ed ecclesiale: «Pur non chiamate all’apostolato proprio dei Dodici –  si legge nella

Christifideles laici –, e quindi al sacerdozio ministeriale […] al mattino di Pasqua le donne ricevono e trasmettono l’annuncio della resurrezione». Il rinnovamento culturale che il Vaticano II accolse e rilanciò, non si è esaurito alla chiusura dei suoi lavori; la presenza di quel gruppo di donne, le madri del Concilio, così come furono chiamate, benché limitata, aveva segnato una rottura con la storia precedente e aveva inaugurato un nuovo corso. In quest’ottica possono allora essere comprese le parole con cui la Salerno descrisse la fine della propria esistenza: «essere nata troppo presto», essere vissuta in un contesto storico e culturale non ancora maturo, essere la voce dissonante di un femminismo che «ha oscurato per alcuni ambienti quella che lei chiama la causa santa della donna».

Sentendosi per sua stessa ammissione, in una delle lettere indirizzate al padre, una «lavoratrice del pensiero», la giovane Elisa, la cui aspirazione iniziale fu quella di conseguire il grado per l’insegnamento alla scuola elementare, indirizzò ben presto la propria attenzione alla condizione femminile. La necessità di rileggere la dottrina aristotelico-tomista che vedeva nella donna un maschio occasionato nell’atto generativo – seppur non manchevole rispetto alla dignità personale – la porteranno a uno scontro diretto con la gerarchia ecclesiastica. Pur sostenendo con forza «la sua primaria ed irrinunciabile identità di cattolica» (39), la giovane donna, dichiarando di non voler mai «scrivere niente che possa meritare una legittima riprensione da parte dell’autorità ecclesiale» (45), non rinuncerà a una revisione delle «Scritture nel loro significato originario» (38). Rimuovendo consolidate interpretazioni antifemministe, la Salerno precorrerà i tempi, quando afferma che la Chiesa non deve soffermarsi su quali possano essere le specifiche mansioni delle donne, quanto sul valore dell’essere donna nella Chiesa: «La Chiesa non è soltanto luogo di devozione e di rifugio per le donne: significa sentirsi parte attiva, anche con il proprio pensiero, mettendo a disposizione della comunità umana e cristiana le sue doti, la sua esperienza, la sua sensibilità femminile, la sua fede e non da ultime la sua intuizione» (46). Come mette giustamente in evidenza la Vaccari nel secondo dei tre capitoli di cui si compone il libro, la necessità di revisionare la Summa Theologiae non nasce come pretesa personale e non si fonda su un presunto presupposto femminista; piuttosto si tratta di una esigenza teologica ed antropologica: «una teologia che se si rifà alla Scrittura […] deve riconoscere la dignità della donna come persona e non come uomo mancato» (82).

Un tentativo certamente arduo per quei tempi, così fortemente segnati dalla condanna del modernismo e dal delinearsi di una progressiva laicizzazione del pensiero. Un tentativo che, sebbene non trovi largo consenso, vede la Salerno impegnata tra il 1911 e il 1943 in lunghe e quasi quotidiane corrispondenze con l’allora vescovo di Vicenza, mons. Ferdinando Rodolfi, e con i pontefici Benedetto XV e Pio XII. Alla relazione epistolare con papa Pacelli, la Vaccari dedica l’ultima parte del secondo capitolo, descrivendo l’intensità delle conversazioni e la caparbia con cui la Salerno porta avanti le proprie idee, consapevole che i pochi anni di vita che ancora le restano le impongono di trasmettere «tutto lo zelo cha ha animato il suo apostolato» (84).
Sono anni di intensa e fiorente attività, anni in cui la personalità di Elisa si forma, matura, cresce nella fede; anni di dialogo con il mondo ecclesiastico, nei quali la penna di Elisa, come si evince dalla lettura di questo libro, non mancherà di individuare e criticare gli errori della Chiesa anche quando questi sono commessi dal Vicario di Cristo in persona: «Anche il Pontefice Pio XI – si legge a pagina 71 del libro – , ha male interpretato le Sacre Scritture, nelle sue Encicliche e discorsi, quando, direttamente o indirettamente, in modo esplicito o implicito, aveva per oggetto la compagna dell’uomo» (71).
Sono anni sicuramente intensi e molto complessi; anni in cui l’interesse della Salerno si gioca sul terreno concreto della storia; una storia che ne fa emergere il lato più intimo e sensibile. Nell’ultimo capitolo, l’autrice ripercorre con dovizia di particolari le crisi di fede susseguite alla negazione della prassi sacramentale così come le preoccupazioni che agitavano l’animo di una donna cattolica che assiste attonita agli orrori del primo conflitto mondiale. Affiorano le preoccupazioni per «le sorti dell’umanità […], per la responsabilità della donna e il suo coinvolgimento nella società» (76).

La rilettura dell’opera tomista e una nuova esegesi del testo genesiaco, sono solo il presupposto culturale e teoretico per «l’elevazione delle donne cattoliche» (70), poiché secondo la Salerno «la donna non rende quanto e come potrebbe» (74). Si tratta di riscoprire l’originario progetto divino della differenziazione sessuale, che ci rende diversi e per questo tutti uguali, ma prima ancora quello che Giovanni Paolo II definì come il «sacramento della persona» intendendo con ciò il segno visibile di una realtà invisibile in cui uomo e donna esprimono loro stessi. Ecco perché all’accusa di «disobbedienza per aver continuato a pubblicare articoli sull’antifemminismo della Chiesa» (59), e alla proibizione dei sacramenti, la risposta di Elisa lascia ancora una volta tutto il mondo ecclesiale senza parole. Il dolore per la proibizione dei sacramenti è minore di quello provato per la condizione femminile: «Costretta a lasciare Iddio per Iddio – si legge nella missiva di risposta a mons. Rodolfi datata 5 aprile 1925 – l’ortodossia della Chiesa di Cristo mi è cara più della mia vita» (66).

Sara Anna Ianniello

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