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Genealogie femminili – omaggio a Marinella Perroni

Festa con Atto accademico al Pontificio ateneo Sant’Anselmo per i settant’anni della grande biblista

*di Lucia Vantini, fonte: Il Regno delle donne

È la sera dell’11 dicembre e al pontificio ateneo Sant’Anselmo c’è festa. In occasione del settantesimo compleanno viene salutata con gratitudine per il suo lungo e fecondo insegnamento biblico Marinella Perroni, fondatrice e prima presidente del Coordinamento delle teologhe italiane (CTI). Le viene ufficialmente consegnata una miscellanea scritta in suo onore, La Parola e la Polis (edizioni Paoline), con gli interventi di ventiquattro studiose e
studiosi riuniti dalla regia di Cristina Simonelli e di Pius-Ramon
Tragan, nella trama di un lavoro comune di stampo biblico, teologico e
politico che ha coinvolto con entusiasmo diverse realtà: Sant’Anselmo,
CTI, Biblia, ma anche amiche e amici.

Il titolo già dice chi è Marinella: una donna che ha scommesso sulla potenza delle parole femminili che raccontano di una comunità che non esclude nessuna/o. Al
celebrativo atto accademico ci sono anche la scrittrice Michela Murgia e
il teologo Antonio Autiero, che in un incantevole dialogo sul tema
della soglia fanno risuonare la vita di Marinella biblista, docente,
compagna di viaggio, amica, donna. Non si può fare a meno di sentire
l’eco di infiniti attraversamenti nel tempo e nello spazio, ma anche di
piacevoli e pensose soste ricche di incontri.

 

Per le donne impegnate nella ricerca teologica questa è stata l’occasione per misurare quanto sono in grado di riconoscersi tra loro,
e per sentire il peso dell’eredità ricevuta dalle altre, da far
fruttare ora e nel futuro. Nel linguaggio del femminismo, ciò si chiama genealogia femminile.

L’anima delle donne, il mito di Demetra e Persefone

Uno dei miti maggiormente ripresi dalla riflessione delle donne, infatti, è la storia di Demetra e di sua figlia Persefone,
detta anche Kore. La ragazza viene rapita dallo zio Ade, che regna
nella tremenda oscurità degli inferi. L’uomo la porta a forza con sé nel
suo mondo senza luce e la sposa, indifferente al rifiuto e alla
sofferenza di colei che ha scelto come moglie. Una volta scesa laggiù,
Persefone si vede offerta della frutta. Lei non ha alcun appetito,
prende solo alcuni semi di melograno. Non sa che con quel gesto sarà
costretta a restare per sempre nell’oltretomba.

La madre Demetra è disperata per quella figlia lontana e in una
situazione così infelice. Dea della fertilità e dell’agricoltura, da
quel momento smette di garantire il rigoglio della natura e scatena un
gelido e interminabile inverno, dove tutto sembra morto. Come sappiamo,
nella vicenda poi si apre uno spiraglio: non avendo mangiato un frutto
intero, Persefone rimarrà negli inferi solo per alcuni mesi, e per il
resto dell’anno potrà tornare sulla terra. È così che si spiega il ritmo delle stagioni: primavera ed estate sono quelle in cui madre e figlia tornano insieme, e per la gioia di Demetra tutta la natura si rianima.

Con questo racconto mitologico viene messo in scena il legame tra donne come qualcosa di ostacolato dal buio di una pretesa senza pietà, che lo interrompe continuamente.
È una forma di violenza concreta e simbolica, che prevede una strana
forma di consenso femminile: Persefone, non si sa bene perché, mangia
quei semi e si compromette il futuro. Finisce per portare dentro di sé
qualcosa di quel mondo umbratile e vi si lega, seppure in modo doloroso.
Così si condanna a vivere in due realtà scollegate, che la
costringeranno a un triste bilinguismo per esprimere se stessa, e a una
diversa dilatazione delle sue stesse pupille, quando dovrà guardarsi
intorno.

Ai femminismi questa storia ha sempre parlato della necessità di ritrovare i legami tra donne,
per poter attraversare i contesti difficili e cupi senza consegnarsi
completamente, e per ereditare saperi, pratiche, desideri imprevisti. La
nostra cultura occidentale ha scoraggiato questo movimento,
gettando nell’ombra dell’insignificanza tutto ciò che rimanda al debito
contratto verso l’altra. Allora la storia è andata avanti così, nella
certezza che il sapere più fine è quello della tradizione patriarcale.

Qui il Dio di certa teologia – che non ha sesso ma
ha il volto del maschio –, l’Essere della filosofia – che in teoria “si
dice in molti modi” ma poi ne trova uno solo – e il soggetto della vita –
che sembra neutro ma parla una lingua da uomini – stabiliscono che cosa è degno di essere guardato, pensato, detto e fatto.

Il coraggio di essere se stesse

La primavera e l’estate – emblema di un tempo che ci trova unite –
non è certamente senza fatica. Ci sono molte differenze tra noi, e non è
leggera la forza che viene dall’autorità dell’esperienza. Si avverte
che con il sapere e la storia dell’una, si riceve anche il sudore con cui si paga il coraggio di essere sè stessi. Ce lo ricorda la poetessa africana Audre Lorde, la nostra sorella outsider, titolo di un testo che raccoglie alcuni scritti politici (Sorella Outsider, il dito e la luna, 2014).

Nei suoi scritti lei racconta di come sua madre le abbia insegnato a sopravvivere,
anche con i suoi silenzi di isolamento, rabbia, diffidenza, rifiuto di
sé, tristezza: «Mia madre mi ha messa al mondo come se incidesse nel
marmo un messaggio di rabbia». Ma è così che si è trasformata in una
“guerriera” del senso, impegnata in una battaglia che si fa con le
parole, affinché possano ospitare la propria storia e quella di altre e
di altri. Tra queste guerriere c’è Marinella Perroni, che ha studiato, interpretato, e commentato la Scrittura come orizzonte di benedizione, sciogliendo nodi patriarcali e
aprendo uno spazio abitabile anche per le donne. In questo lavoro, non
si è risparmiata né la lucidità della critica né la fatica della
parresia, ma sempre all’interno di legami forti.

Immergersi nella genealogia femminile, allora, significa lasciarsi contagiare anche da questa sua forza di resistenza e di rigenerazione creativa,
una forza che alla fine non è solo mia, tua o sua, perché circola là
dove siamo capaci di riconoscere le buone profezie. Le feste allora si
moltiplicheranno e potrà essere ancora una volta primavera. È la vita
che riprende, il futuro che inizia ad accadere, il fuoco della profezia
che comincia a scaldare.

La teologia viene allora rigenerata da ogni atto di incarnazione nella parzialità, di donne e di uomini, che non ha solo il sapore del limite perché è anche uno s-partire.