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Terra che ci porta, terra che ci nutre

Dossier “Donna ed ecologia” 1






 

 Noi uomini ci chiamiamo “figli della terra”

e, dunque intendiamo la terra come una madre


che ci ha fatto nascere. E siccome una madre si venera,


noi ci sentiamo obbligati verso questa terra, in gratitudine e amore.


Ciò, per l’uomo dell’antichità era una cosa ovvia, così come lo è


ancor oggi per gli esseri umani legati alla natura.


Se ci sentiamo “figli della terra”, se vogliamo mantenerci sani nell’esistenza,


dobbiamo vivere il nostro legame,


coltivare un senso di intima solidarietà con la “madre terra”.


Quando sfruttiamo la terra approfittando in modo esasperato


delle sue potenzialità, quando la tormentiamo con veleni o la distruggiamo


sfrenatamente, non pronunciamo la nostra sentenza di morte?


Nella Bibbia, la terra non è una divinità, ma opera dell’unico Dio Creatore.


Egli l’ha fatta esistere e l’ha fornita di molteplici forze affidandola a noi. 


 


 


 







 

 “Questo sappiamo: che la terra non appartiene all’uomo, perché è l’uomo ad appartenerle. Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce i membri di una famiglia. Qualunque cosa accade alla terra, accade ai figli della terra. L’uomo non ha tessuto la trama della vita; ne è solo un filo. Qualunque cosa accade alla trama, accade all’uomo” – proclamava Toro Seduto, nella Lettera che è diventata la fonte ispiratrice di molti movimenti ecologisti.


E questa Terra – ci dicono gli esperti – sta rapidamente morendo: muoiono le foreste, il suolo, l’acqua e l’aria. Le foreste tropicali, culla della ricchezza vegetale del pianeta e determinanti per il suo clima, sono invase dai bulldozer, bruciate, rovinate e inondate.


 

 







 CArolyn Merchant  Nel 1950, oltre 100 milioni di ettari di foreste erano stati disboscati. Dal 1975 il fenomeno è più che raddoppiato. Ogni anno 12 milioni di ettari di foreste sono cancellati dalla faccia della Terra e, se continuano gli attuali ritmi di distruzione, entro il 2050 tutte le foreste tropicali saranno scomparse, e con esse la diversità biologica, che ne è il patrimonio.

D’altro canto, come scrive Carolyn Merchant, parlando de La morte della natura: “Facciamo nascere artificialmente piante e fiori più presto o più tardi della stagione in cui nascerebbero naturalmente e li facciamo fiorire e fruttificare più rapidamente del normale. Siamo in grado anche di ottenere piante molto più grandi delle normali, e i frutti di queste piante sono più grandi, più dolci e differenti di gusto, profumo, colore e forma dagli altri della specie originaria”. In tal modo, trasformiamo la natura da essere vivente, da madre che nutre, in materia inerte e manipolabile.

 


 


“Del Signore è la terra e quanto contiene,


l’universo e i suoi abitanti.


E’ Dio che l’ha fondata sui mari


e sui fiumi l’ha stabilita”.


(Salmo 23)


 


Per approfondire:


 


 


· Carolyn Merchant, La morte della natura, Garzanti, Milano, 1998.