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Il Magistero Pontificio da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo I

Dossier “Donne e chiesa” 5







   Era il 1963 quando Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris additava la donna quale segno dei tempi, in quanto faceva il suo ingresso nella vita pubblica, diventando sempre più chiara ed operante in lei la coscienza della sua dignità.

 


 







   Un segno raccolto dal Concilio Vaticano II, che l’8 dicembre 1965 rivolgeva un messaggio incisivo alle donne: “Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora nella quale la donna acquista nella società una influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. E’ per questo, in un momento in cui l’umanità conosce una così profonda trasformazione, che le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l’umanità a non decadere. Donne di tutto l’universo cristiano o non credenti, a cui è affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta a voi di salvare la pace del mondo!”.
 


Queste due solenni dichiarazioni magisteriali fanno da spartiacque circa il pensiero sulla donna, in ambito ecclesiale, in particolare nell’ultimo secolo.


 


Da Leone XIII che in tutto il suo pontificato ha riaffermato la tradizionale dignità e missione della donna insita nel matrimonio cristiano. Nelle sue encicliche (Quod Apostolici, 1878 e Arcanum Divinae Sapientiae, 1880) la donna appare come ” la compagna dell’uomo” (socia in latino) ed immagine della Chiesa, mentre l’uomo (maschio) sarebbe immagine di Cristo; e nella famosa Rerum Novarum afferma che “le donne sono fatte da natura per i lavori domestici”.


Pio X, all’inizio del Novecento, diceva, in tipico dialetto veneto: “La donna che la piasa, che la tasa, che la staga in casa”,anche se è sua l’approvazione dello Statuto dell’Associazione Donne Cattoliche Italiane.


Benedetto XV ha delle aperture nei confronti delle istanze femminili; il sopraggiungere della prima guerra mondiale e la nascita del partito socialista lo provocano a dire: “Le donne devono dare il buon esempio non solo fra le pareti domestiche, ma anche nelle vie e nelle pubbliche piazze“.


Ma Pio XI torna al “focolare”: nella Casti Connubi (1930) afferma la superiorità del marito sulla moglie; riconosce che c’è uguaglianza di dignità, ma dev’esserci una “certa ineguaglianza”, e nella Quadragesimo Anno (1931), qualifica il lavoro extradomestico femminile come “pessimo disordine”.


Pio XII ha, invece, una presa di coscienza personale sulla questione femminile e nel 1945 afferma:La vostra entrata nella vita pubblica è avvenuta repentinamente per effetto di rivolgimenti sociali di cui siamo spettatori: poco importa! Voi siete chiamate a prendervi parte!la donna cattolica ha lo stretto dovere di coscienza di non rimanere assente”. In questa Allocuzione alle donne cattoliche c’è anche l’importante affermazione che “la donna è immagine di Dio” e che soltanto da Dio ella riceve la sua dignità.


 







   Abbiamo poi il Pontificato di Giovanni XXIII, con la celebre Pacem in Terris e soprattutto con l’inaugurazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale, pur non dicendo molto in termini specifici sulla questione, sancisce solennemente la fine dell’antifemminismo dottrinale: “Ogni discriminazione in ragione del sesso dev’essere superata come contraria al disegno di Dio”(Gaudium et Spes, 29) e con il Decreto Apostolicam Actuositatem auspica una “più larga partecipazione delle donne anche nei vari campi dell’apostolato della Chiesa” (n. 9).


 







   Siamo ormai entrati nel Pontificato di Paolo VI che, nel 1971, afferma la pari dignità e gli uguali diritti della donna, anche se c’è una vocazione propria che è la maternità (Octogesima Adveniens, 13). In quello stesso anno i Vescovi, riuniti in Sinodo manifestano la volontà “che le donne abbiano la propria parte di responsabilità e di partecipazione nella vita comunitaria della società e anche della Chiesa” e propongono l’istituzione di una Commissione Pontificia mista, la quale così si espresse, nell’ormai lontano 1975: “Spesso, nel passato, la partecipazione dei membri laici della Chiesa e soprattutto delle donne, non è stata sufficientemente preparata, sollecitata, valorizzata; tale partecipazione inadeguata dei laici è stata spesso aggravata, per quanto riguarda le donne, a causa dei pregiudizi e degli atteggiamenti, a base socio-culturale largamente diffusi nella società e all’interno della stessa comunità ecclesiastica”. Tra gli auspici si leggeva: ” tenendo conto dell’esperienza acquisita dopo il Concilio Vaticano II, si favorisca e sviluppi la partecipazione delle donne all’opera di evangelizzazione in posti di responsabilità effettiva e riconosciuta.

Non fu questo un esperimento riuscito. Essa concluse i suoi lavori nel 1976, anno in cui viene pubblicata Inter Insigniores, che vieta l’accesso delle donne al sacerdozio ministeriale.


Nell’ambito del pontificato di Paolo VI non possiamo però dimenticare l’importante segnale dato alla Chiesa universale quando, nel 1970, dichiarò S. Teresa d’Avila e Santa Caterina da Siena Dottori della Chiesa e il documento Marialis Cultus (1975), circa il quale vale la pena sottolineare, al n. 34, l’inserimento del criterio antropologico circa il discernimento sulla pietà mariana. Si tratta di un elemento di non poco conto per i riflessi sull’immagine della donna (status e ruoli).


 


 







 

 Il 1978 vide la fine di questo Pontificato, la salita al soglio pontificio di Papa Luciani, con il nome di Giovanni Paolo I. Di quei 33 giorni di papato ricordiamo qui, in particolare, quell’affermazione che fece scalpore:


Dio è anche Madre”.