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Etty Hillesum: il cuore pensante della baracca

Dossier “Donna e pace” 13







 

 Ester (Etty) Hillesum, singolarissima donna ebrea, solo da pochi decenni conosciuta dal vasto pubblico a motivo della pubblicazione del suo Diario e delle sue Lettere, nacque il 15 gennaio 1914 a Middelburg, ma a 10 anni si trasferisce con la famiglia a Deventer, nell’Olanda orientale e poi ad Amsterdam, dove prese la laurea in Giurisprudenza, si dedicò allo studio delle lingue slave e in seguito, quando la seconda guerra mondiale era già scoppiata, alla psicologia.


A gennaio del 1941 Etty conobbe Julius Spier, un uomo dalla for­te personalità e dai molteplici interes­si che aveva fondato una nuova disciplina, la “psicochirologia”, lo studio e la classificazione delle linee della mano, attività che trasformò in professione su suggerimento di Carl Gustav Jung. Dopo poche sedute diventò prima sua assistente, poi sua amante e infine amica devota. Spier fu per Etty un “catalizzatore” avviandola ad “un’incessante ricerca dell’essenziale, del veramente umano”, in aperto contrasto con l’inumanità che la circondavano. Etty attribuì a Spier il merito di aver liberato le sue forze e di essere stato, in qualche modo, un intermediario tra lei e Dio.


Dopo il febbraio 1941, in conseguenza del primo sciope­ro anti‑pogrom ad Amsterdam, gli Ebrei iniziarono ad esse­re internati nei “campi di lavoro”; gli Ebrei olan­desi furono trasferiti in numero sem­pre maggiore a Westerbork, un campo di smistamento dopo il quale veniva Auschwitz.


 







 Westerbork

 


In questo contesto, Etty Hillesum, una donna di raffinata cultura, una studiosa appassionata di Rilke e della letteratura russa, di Jung e della Bibbia, ma anche del Corano e del Talmud; una donna normale, sensibile e sofferente, con una vita sessuale tormentata, ma intensamente vissuta, sotto la duplice spinta dell’incombente tragedia della Shoah e dell’incontro con Spier, pur avendo la possibilità di lasciare il paese, scelse di non sottrarsi al de­stino degli ebrei e decise spontaneamente di chiedere il trasferimento a Wester­bork, per condi­videre il dolore della sua gente ed usare la forza interiore che aveva scoperto per so­stenere la vita di migliaia di persone in grave pericolo.


Il periodo in cui Etty Hillesum arrivò a Westerbork fu quello in cui iniziarono le deportazioni ad Auschwitz (partiranno 93 con­vogli). Dall’agosto ‘42 al set­tembre ‘43 lavorerà come volontaria all’ospedale del campo, finché anche lei fu considerata una pri­gioniera. A Westerbork, nel frattempo arriveranno anche il padre, la madre e il fratello Mischa. Per tutto il tempo di permanen­za nel campo, Etty fu una figura luminosa che si circondava di amici, aiuta­va le persone che avevano bisogno, e sosteneva tutti quelli che poteva.


 


 







    In fondo, l’ultima frase del Diario rivela il suo sentimento più pro­fondo: “Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite“. Rispetto alla destinazione finale rimase lu­cida: anche se non poteva sapere nul­la delle camere a gas, intuiva però che in Polonia li aspettava la morte. Il 17 set­tembre con il padre, la madre e il fratello partì per Auschwitz. Prima di lasciare il territorio olandese riuscì a gettare dal vagone una cartolina che fu rac­colta e spedita da contadini. Nel testo, fra l’altro, scrive: “abbiamo lasciato il campo cantando“.  Gli Hillesum giun­sero ad Auschwitz il 10 novembre. Il giorno stesso, nella camera a gas mori­rono i genitori. Etty Hillesum morì il 30 novembre 1943.

Essere il cuore pensante della baracca… il cuore pensante di un intero campo di concentramento“: è l’espressione da lei usata per definire il suo desiderio di testimonianza, di vera e propria compassione, nella consapevolezza che “è proprio l’unica possibilità che abbiamo, non vedo alter­native. Ognuno di noi deve raccoglier­si e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancor più inospitale(Diario, p. 212). É que­sto il nucleo semplice e radicale dell’esperienza di resistenza di Etty Hillesum, che scelse di non lasciarsi devastare dai sentimenti negativi e dalle tendenze degradanti: la scelta della nonviolenza anche nelle situa­zioni estreme. Scriveva: “Una pace futura potrà essere vera­mente tale solo se prima sarà stata tro­vata da ognuno in se stesso ‑ se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o po­polo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diver­so, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo (Diario, p. 127). Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, dovunque essi siano, sarà troppo poco. Non si tratta infatti di conservare que­sta vita a ogni costo, ma di come la si conserva…. Certo che non è così sem­plice, e forse meno che mai per noi ebrei, ma se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo ‑ e non un nuovo senso del­le cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione – ­allora non basterà (Lettere, p. 45).


Etty ha combattuto duramente, ma ha scelto lei il terreno dello scontro; non quello della distruzione del nemico, né tanto meno quello della pura e semplice sopravvivenza, ma quello della costruzione di un nuovo umanesimo, fondato sul­la consapevolezza che tutto appartiene alla vita, anche il dolore, anche la sventu­ra, anche, ed è decisivo, la morte. Perché è proprio integrando la possibilità della morte nella vita che questa paradossalmen­te si amplia, si arricchisce e consente di far agire forze altrimenti destinate a restare impigliate nelle maglie strette della pau­ra e della violenza.


 

Per approfondire:


Oltre al Diario e alle Lettere, pubblicate da Adelphy,


Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Ed. lavoro, 2000.


Paul Lebeau, Etty Hillesum. L’itinerario spirituale, ed. Paoline, 2000.


Graziella Merlatti, Etty Hillesum: un cuore pensante, Ancora, 1998.


Nadia Neri, Un’estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del lager, Mondadori, 1999.