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Donne e linguaggio

Dossier “Donne e chiesa”4







 



 


 


 


 


 


 


 Io sono quella che cantano i poeti

l’inesauribile sorgente.


Quella che suscita il sogno


che purifica l’acqua torbida.


 


Io sono la cavità


la matrice


Io sono quella che partorisce


che è materna


quella che incanta.


Tutti mi portano alle stelle


ma io non sono ascoltata.


 


Io sono parlata, ma non parlo


Io sono scritta, ma non scrivo.


Nessuno ascolta le mie grida silenziose


nessuno ode


la mia bocca spalancata e muta


le mie dita contratte


le mie mani aperte


le mie lacrime di pietra


il mio cuore straziato.


 


Io sono quella che non ha linguaggio


quella che non ha volto.

 


Questo piccolo brano, scritto da un’anonima, esprime bene la situazione della donna che è stata “oggetto” di pensiero, ma non “soggetto”, capace di esprimere il proprio essere e la propria percezione del mondo. Quando alcuni decenni fa le donne hanno avuto accesso agli studi accademici nella varie discipline, il campo degli studi sulle donne si è sviluppato rapidamente e alcuni termini sono diventati familiari per esprimere una visione distorta della realtà, che vede l’uomo primeggiare a scapito della donna.


 


Questa visione passa attraverso il linguaggio e diventa cultura.


* androcentrismo: la tendenza culturale di rendere l’esperienza maschile normativa dell’esperienza umana, con l’effetto di marginalizzare l’esperienza delle donne rendendola secondaria, e facendo delle donne stesse una sottospecie dell’essere umano’ (Mary Collins).


 


* sistema patriarcale: sistema che accoglie la cultura androcentrica e che costruisce le strutture politiche, sociali e anche religiose per dare predominio e potere agli uomini da una parte e subordinazione ed esclusione delle donne dall’altra.


 


* linguaggio sessista: “una parola o una frase è sessista se il suo uso crea, costituisce, incoraggia o sfrutta una distinzione ingiusta o non appropriata tra i sessi (e) se il suo uso contribuisce, incoraggia, causa o provoca l’oppressione di uno dei due sessi” (Vetterlin-Bragging). Gli uomini, che hanno controllato la lingua, sono stati il “gruppo dominante” che ha dato significati ai termini e creato regole sul come usarli; ha trasmesso il punto di vista maschile, relegando le donne ai margini e rendendole il “gruppo muto”.


 


* linguaggio non sessista: ha lo scopo di evitare la presenza massiccia dei termini maschili presenti nella lingua, i quali sono sostituiti con termini più neutrali, sia per l’essere umano che per l’essere divino (es. uomini = umanità / genere umano / persone; Dio Padre = Dio vita).


 


* linguaggio inclusivo: si propone di bilanciare i termini maschili, che rendono invisibili le donne, ponendo accanto ad essi i corrispettivi riferimenti femminili (es. uomini e donne; fratelli e sorelle; Abramo e Sara; Dio Padre e Madre) Esso ” non oscura né enfatizza le differenze tra i sessi, ma si impegna chiaramente ad esprimere sia la mascolinità che la femminilità, piuttosto che una mascolinità che deve racchiudere tutti noi” (Martyna W).


 


* linguaggio emancipatorio: prospetta significati nuovi e connotazioni positive per i riferimenti di genere femminile stereotipati (es. donna è bello; his -di lui- story/ her -di lei- story).


 







   Finora, nella vita della chiesa e della società, nella cultura e nella storia solo il linguaggio maschile ha avuto il potere di esprimersi. Attraverso regole e strutture, esso ha posto l’uomo ad un livello superiore rispetto alla donna, e l’ha riconosciuto più rappresentativo di Dio.

E’ giunta l’ora, anzi è già venuta, di prendere coscienza che una parte di umanità, quella femminile, è stata oppressa da questo linguaggio, che ha perpetuato nel tempo il dominio maschile e la subordinazione femminile. E’ giunta l’ora di intraprendere un esodo di liberazione in cui l’uomo e la donna possano esprimere la loro diversità.


Considerare il linguaggio inclusivo nella chiesa ci porta ben oltre alcune parole da modificare; ci invita a considerare come vogliamo vivere in quella terra promessa che Dio ha sognato per noi. La terra promessa è oltre ma anche vicina, nella misura in cui sappiamo tessere relazioni di uguaglianza e di reciprocità; offrire spazi di vita ad ogni donna e uomo riconosciuti nella loro differenza e apprezzati nella loro ricchezza.

 


Per approfondire:


Procter-Smith M., In her own Rite: Constructing Feminist Liturgical Tradition, Abingdon Press, Nashville, 1990.


Collins M., Worship: Renewal to Practice, D. C. The Pastoral Press, Washington, 1987.


Irigaray L., Parler n’est jamais neutre, 1985.