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Donna e ministeri ordinati

Dossier “Donne e chiesa” 7

Il Magistero continua a riaffermare una “certa diversità” per quanto riguarda i ruoli (Lettera alle Donne, n.11): “Cristo – con libera e sovrana scelta, ben testimoniata nel vangelo e nella costante tradizione ecclesiale – ha affidato soltanto agli uomini (maschi) il compito di essere ‘icona’ del suo volto di ‘pastore’ e di ‘sposo’ della Chiesa attraverso l’esercizio del sacerdozio ministeriale”. Una dottrina costantemente portata avanti dalla Chiesa e recentemente confermata da Inter Insigniores (1976), riaffermata nel 1994 con la Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis e ulteriormente sottolineata, in particolare per quanto concerne la non ammissibilità delle donne al sacerdozio ministeriale, con la Risposta al dubbio circa la dottrina della Ordinatio Sacerdotalis, data dalla Congregazione per la dottrina della fede il 28 ottobre 1995. Dottrina da tenersi in modo definitivo: sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede.


I motivi addotti per sostenere tale posizione secondo Inter Insigniores sono: la Tradizione, l’atteggiamento di Gesù, la prassi degli apostoli e il valore permanente dell’atteggiamento di Gesù e della prassi degli Apostoli.


 







   Secondo Cettina Militello (Donna in questione, Cittadella ed., Assisi, 1992, pp. 219-224) tali motivi “continuano ad essere evocati, malgrado la ricerca di questo decennio li abbia largamente erosi. Sul rapporto di Gesù con le donne la ricerca si è molto arricchita; lo stesso può dirsi sulla reale condizione della donna nel giudaismo intratestamentario, o nel mondo greco-ellenistico”. Per lei si tratta di un problema prima di tutto culturale in quanto “si dà per scontata una “diversità di funzioni” tra l’uomo e la donna, così profonda e radicale da esigere diversa traduzione ecclesiale, “diversità di servizi”. Bisogna convenire che questa diversità non è nell’ordine del valore inerente all’uomo e alla donna come persona. Ma, con coerenza ambigua, se ne evince che solo la mascolinità è adeguata a rappresentare Cristo, o come si preferisce dire oggi, a ri-presentare Cristo”. E a questo punto pone degli interrogativi: Chi è la donna? Qual è il suo compito? Questo è così profondamente legato alla  sessualità da ricondurlo a modalità e caratteristiche così peculiari da circoscriverlo in esse definitivamente?

Secondo la Militello occorre sciogliere il nodo antropologico in termini di reciprocità affinché possa cadere anche la pregiudiziale ecclesiologica.


 







   La teologa Michelina Tenace sostiene che occorre evitare di identificare la presenza e l’operosità della Chiesa solo con il ministero. Siccome solo gli uomini (maschi) avevano accesso ai ministeri si conclude che solo loro erano membri a pieno titolo della Chiesa. Questo è riduzionismo. E se così è, il ministero delle donne non è tanto un problema delle donne, ma è un problema della comunità-Chiesa, di come cioè la Chiesa considera il ministero nella globale figura dei suoi carismi e servizi per il Regno. Guardando la storia che si può vedere quanto siano legate l’immagine che la Chiesa ha di se stessa e la corrispondente posizione della donna, si può comprendere lo slittamento del concetto di ministero, inteso come servizio nei primi secoli, ma poi pian piano percepito e vissuto sempre più come potere. Se nella Chiesa si cerca il servizio, allora la conclusione è: nessuno è escluso dal servizio (cfr  n. 10 della Lettera alle donne: “Regnare è servire! Servire è regnare!”). Se nella Chiesa si privilegia una forma di servizio che si identifica col ministero, compreso come potere, allora la conclusione è diversa.

La Tenace aggiunge, inoltre, che occorre prestare attenzione laddove nella Mulieris Dignitatem (22) il Papa sottolinea che “non si può avere un’adeguata ermeneutica di ciò che è umano senza un adeguato ricorso a ciò che è femminile”. E’ importante la parola adeguato, in quanto le figure di “Vergine-sposa-madre” – indicate da Giovanni Paolo II come specifiche del femminile – oggi, come ieri, non sono e non possono essere simbolo di tutto l?umano. Ci sono altre dimensioni che non vanno dimenticate. Una è quella dell’essere sorella (cfr Lettera del Giovedì Santo 1995 ai Preti) e che ci induce a riflettere su una tipologia di relazioni paritaria; un’altra è quella di lavoratrice (cfr il n. 2 della Lettera alle donne). Ma poi ci sono le categorie, ancora largamente da scoprire, tipiche del “genio maschile”, anch’esse patrimonio costitutivo dell’umanità e della Chiesa.


Le caratteristiche del “genio femminile” non possono da sole illuminare ed essere icona della Chiesa, così come potrà essere difficile sostenere ancora a lungo che solo il maschile può validamente e pienamente ripresentare Cristo e che solo l’uomo maschio può essere icona di Cristo pastore.


L’antropologia ci dice, infatti, che le categorie del prendersi cura (non potremmo definire così la figura del pastore?) è tipica della femminilità; la stessa storia biblica si colloca su questa lunghezza d’onda quando presenta le caratteristiche del pastore buono.

 


Per approfondire:


Militello Cettina (a cura di) Donna e ministero, Ed. Dehoniane, 1991


Green Elizabeth, Perché la donna pastore. Il volto femminile del ministero nelle chiese, Claudiana, 1996


Strazzari Francesco, Io donna prete. Cronaca di un evento, EDB, 1994