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Alcune riflessioni a margine degli incontri con Daniela Yoel

Pierluigi Tregnaghi, socio di Presenza Donna

Sul
quotidiano “la Repubblica” di domenica 16 febbraio leggevo di un episodio accaduto a Gerusalemme
nel pomeriggio del 31 gennaio 2013. Nei pressi di un check-point militare due
giovani calciatori palestinesi, mentre camminavano in tuta e con i loro
borsoni, furono presi di mira da dei soldati israeliani. Qualcosa doveva
aver insospettito i soldati tanto da
scaricare una serie di colpi sui due malcapitati, ferendoli seriamente agli arti inferiori. Poco dopo, i
due sono stati ospedalizzati e operati a
Gerusalemme e successivamente, superata la fase acuta del trauma, vennero
trasferiti a Ramallah, in Palestina. Ma qui l’ospedale non risultava adeguato
alla complessità del caso, per cui si rese necessario il ricovero presso
l’ospedale di Amman. I due giovani,
Jawar Nasser Jawar di 19 anni e Adam Abd al Rauf Halabya di 17, dovranno
sottoporsi a lunghe sessioni di rieducazione fisica ma, pare, con poche
possibilità di riprendere una piena funzionalità negli arti colpiti. Questo
fatto di cronaca ci fa retrocedere nel tempo, all’agosto del 2013, quando con
mia moglie Licia partecipammo al pellegrinaggio
di Presenza Donna nella Terra del Santo e più precisamente alla sera in
cui incontrammo a Gerusalemme la bella persona di Daniela Yoel. In quell’incontro Daniela raccontò l’orrore
che provò quando venne a sapere il tragico fatto accaduto ad una donna partoriente palestinese
che perse i due bambini che portava in grembo nei pressi di un check-point.
L’ostinata determinazione dei soldati israeliani, che negarono un pronto
accesso verso un ospedale attrezzato di Gerusalemme, fu sopraffatta solo a
tragedia consumata, allorché la donna venne trasferita come avrebbe desiderato
fin da subito. Questo episodio fece scattare una formidabile molla di sdegno in
Daniela, a sua volta madre, nonna oltre che ebrea osservante. Di lì a poco decise
di far parte di un movimento di donne
con il compito di vigilare nei pressi dei check-point militari, nei tribunali e
negli uffici amministrativi. Occhi attenti e puntati per documentare, gesti e
parole a sostegno, sono le semplici armi
di cui sono dotate le volontarie di Machsom Watch. Le problematiche
dell’attività di questo movimento di donne sono state recentemente riprese da
Daniela Yoel a Vicenza e provincia, invitata da “Presenza Donna” in occasione della festa dell’otto marzo. In uno di questi incontri, tenuto a
San Bonifacio, Daniela ha suscitato tantissimi interventi nel folto uditorio. Lei è una donna distinta
e affabile, che parla un buon italiano senza strappi nel tono, anche quando
sfiora argomenti che la feriscono. E uno di questi è la pressoché totale
indifferenza e l’ovattato dissenso con cui l’opinione pubblica, parte degli amici
e i media recepiscono la battaglia che sta conducendo. Daniela, ebrea della
prima ora, diventa così anche un testimone del
profondo disagio di chi fa parte a pieno titolo di quella tormentata
terra. Lo Stato di Israele vive infatti una situazione paradossale. A tutti sono noti i ghetti urbani in cui gli
ebrei sono stati confinati a vivere e
poi l’immane tragedia dell’Olocausto, culminata con le deportazioni nei ghetti
della morte. Da qualche anno lo Stato di Israele sta cingendo con la costruzione di un muro il
territorio della Palestina, suscitando disagi, soprusi e violenze nei confronti della popolazione
palestinese, sottoponendola così ad una sorta di contro-ghettizzazione. E per avallare questo sentimento lei cita sempre un pensiero di Carlo Ginzburg: “ la mia patria è quella
di cui ho vergogna”. Tuttavia, questo
senso di frustrazione che accompagna la sua attività, lei lo confina ai margini
del proprio io e non scalfisce per niente quello che è il credo e la
concretezza della sua missione, assieme alle attiviste di Machsom Watch. Avanti
tutta, Daniela.


Pierluigi Tregnaghi