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Una virile quarantena

La riflessione di Antonio Ballarò, dal blog del CTI

* riportiamo di seguito il contributo di Antonio Ballarò pubblicato su Il Regno delle donne, il blog del Coordinamento teologhe italiane (fonte: qui)
 

Per molti uomini la pandemia ha significato un improvviso cambiamento di spazi, tempi e immagini di sé: c’è chi reagisce replicando dinamiche di dominio e chi sperimenta nuovi modi di essere. Guardarsi dentro e parlarne è importante, perché il domani dipenderà da come viviamo oggi la soggettività e le relazioni di genere.

Mi è bastato riascoltare la canzone di un cantautore siciliano per allontanare il fastidio della retorica che affanna questi giorni di isolamento. Inizialmente meno ridondante, la retorica si è fatta insistente e ha una lezione universale: tutto cambierà.
In quasi due mesi abbiamo sentito che non saremo gli stessi, ma anche come saremo e perché. I verbi sono stati coniugati al futuro poiché questo significava uscirne, indipendentemente dai dettagli. Ma l’operazione era dannosa: evitava un confronto serio con il presente e alimentava proiezioni e fughe in avanti. Dietro di essa c’era la presunzione assurda di «pensarsi al di fuori», come se qualunque cosa resterà di questi giorni non dipendesse da noi e da ciò che faremo oggi.

Sin dall’inizio ho evitato che questi giorni passassero senza la supervisione buona dell’equilibrio. Il rischio era che assumessero traiettorie incontrollate, costruendo una nuova normalità che non sarebbe stata indolore. Ciò che devo evitare ora è un giudizio definitivo: anche se credo di aver retto il colpo, so che ci sono stati dei cedimenti.
La fragilità che sembra aver visitato tanti in questo periodo non ha risparmiato neanche me. C’è anche questa ragione tra quelle che mi hanno spinto a ricostruire dal mio punto di vista settimane che – come ha recentemente intuito George Packer su The Atlantic – sono uno smascheramento. Se racconto questi giorni di pandemia è anzitutto per me stesso. Lo faccio con tutta la mia parzialità di italiano, dottorando, insegnante… maschio.

Mi sono interrogato abbastanza presto sui rapporti tra la mia biografia e la crisi sanitaria. L’emergenza ha reso più ampia la distanza tra la sfera pubblica e quella privata, ed era inevitabile che questo avesse degli effetti sul modo in cui i maschi stanno al mondo.
Il più importante che riesco a vedere riguarda l’appiattimento dell’intera personalità sulla dimensione privata. La frustrazione maschile derivante dall’impossibilità di abitare la maggior parte degli ambiti in cui ci si sente realizzati (con tutto ciò che questi ambiti mettono in gioco) si riflette pesantemente sul solo ambito rimasto a disposizione.
Quello domestico è un ambito che una certa tradizione vorrebbe totalmente femminile. Condividendo il mio tempo e alcuni spazi con altri maschi, mi sono rivisto in alcune dinamiche quotidiane e mi sono stupito di altre. Le mie letture si erano intensificate proprio mentre si moltiplicavano gli appelli sulla gestione del tempo e degli spazi, ma è stato mettendo insieme quelle dinamiche che ho guardato a me stesso con occhi mai aperti prima.

Le esperienze più rivelative sono state quelle cariche di abitudinarietà: i pasti e la loro preparazione, la suddivisione e coordinazione di ruoli e compiti, l’uso degli spazi in comune, la programmazione di momenti collettivi, le variazioni nella percezione di presenze e assenze. Queste esperienze hanno mostrato nello stesso tempo logiche di potere e differenze reciproche, e quindi che il costo di questi giorni è sociale.
Sulla puntualità di questo costo rispetto alle coscienze maschili si sarebbe facilmente tentati di andare oltre. L’attitudine umana alla rimozione incontra qui quella degli uomini a non riflettere sulla propria parzialità. Ma ciò che le convivenze attuali stanno portando alla luce ha caratteristiche diverse da quelle che potrebbero avere dei casi isolati.
Dal confronto con altri maschi so che la ricerca di conferme continua, sia pure nel riorientamento dei propri obiettivi. La mia impressione è che alcuni reagiscano alle difficoltà attuando una reconquista di luoghi da cui si erano tenuti distanti, anche se non si può escludere che questo diventi nel tempo una breccia per provare a immaginare sé stessi diversamente da come lo si faceva.
C’è poi un problema più grave. La convivenza forzata a cui molte donne sono state costrette non ha tenuto conto di un pericolo poco considerato dagli uomini, ossia l’aumento degli episodi di violenza domesticadenunciati in Italia dalla rete nazionale dei centri anti-violenza.

In tempo di distanziamento sociale ho potuto riflettere sui distanziamenti in atto e su quelli da attuare, poiché questo tempo richiede forme nuove di prossimità e distacco, non solo, come ha scritto Andrea Ponso, nei confronti di sé o degli altri, ma dalla pretesa di aver compreso tutto e tutti.
Alla fine ho la sensazione che questi giorni stiano favorendo la mia voglia di racconti, di raccontare e di raccontarmi. La mia speranza è che sia così per altri maschi ancora, perché ci si cominci a parlare e consegnare reciprocamente. Ed è così che riascoltare la canzone di un cantautore siciliano mi basta per dire che avrei bisogno di un bacio.